Descrizione
"Ooops ho scritto tantissimo… scusaaaate! Ahhhh nessuno la leggerà mai, a parte i miei hahahahah..."
Chi sei e di dove sei?
Ciao! Mi chiamo Marcella e sono trentina, di Trento Sud, esattamente. No, questa cosa mi fa ridere perché dire “Trento Sud” dà l'idea che la città sia una metropoli. Per fortuna non è così. Però diciamocelo: Trento Sud, col suo Fersina e le sue Albere, vince :)
Va beh, scherzi a parte, per me è davvero importante definirmi trentina perchè devo tutto alle mie montagne ed alla mia piccola città. Ho viaggiato moltissimo nella mia vita; anzi, ancora tutt'oggi non smetto di farlo! Nonostante tutto, quando il treno inizia ad entrare fra le montagne trentine, ed io vedo, dopo un buon quarto d'ora, il mio Bondone spesso mi si scioglie il cuore! Ah, le montagne. Ricordo che, quando ho passato sei mesi in Nuova Zelanda, avevo imparato moltissimo sulla cultura Maori. Una cosa che mi aveva colpito era che quando due Maori si conoscevano la prima volta si chiedevano vicendevolmente “Come ti chiami e come si chiama la tua montagna?”. Forse, e dico forse, nonostante l’aver studiato al Liceo Da Vinci ed aver fatto una normalissima triennale in “Scienze Internazionali e Diplomatiche” a Forlì, qualcosa di Maori mi è rimasto.
Qual è stato il tuo percorso di studi e formativo?
Dopo aver studiato al Liceo Da Vinci l’indirizzo linguistico, ho fatto una triennale nella nebbiosa Forlì. Ricordo la prima volta nella nebbia; anzi, ad essere sincera devo dire quando sono entrata per la prima volta nella nebbia: un immenso muro bianco, spettacolare, accogliente e freddissimo! E che dire delle zanzare, compagne di lunghe estati romagnole?! Per questi ed altri motivi, dopo il primo anno di studi, decisi di andarmene un anno in Erasmus a Madrid a studiare Diritto ed Amministrazione all'Università Autonoma di Madrid. Questa è stata un'esperienza incredibile: devo tutto ai miei due coinquilini, davvero!
Dopo quel periodo, davvero utile ma anche un po' folle, sono rientrata a Forlì per poi scappare sei mesi dopo alla volta di Corfù, Grecia, dove ho lavorato in un Hotel, grazie ad un Erasmus Placement (una sorta di tirocinio pagato dalla UE). Dopo la triennale ho deciso di partire alla volta dell'Australia e, senza se né ma, mi sono trovata nel vasto continente cercando di capire cosa realmente volesse dire l’immensità spaziale e la varietà delle possibilità lavorative. A volte quando si hanno troppe scelte a disposizione non si riesce veramente a prendere una decisione concreta e mirata. Questo è ciò che mi è capitato. Nonostante ciò e nonostante i mille lavori che mi hanno permesso di sopravvivere in Australia per un anno intero, sono rientrata in Europa e ho cominciato a frequentare il Master Erasmus Mundus all’Università di Göttingen. Il Master si chiama “Euroculture” e la sua principale caratteristica è la mobilità: ogni semestre gli studenti possono scegliere dove andare.
Così facendo ho iniziato a sperimentare la cultura, accademica e non, prima basca, poi (di nuovo) australiana e tedesca. Durante il mio terzo semestre in Australia, ho avuto la fortuna di poter lavorare al Consolato Generale Greco di Sydney. Quello, devo essere sincera, è stato uno dei lavori che più ho amato, anche grazie al mio superiore, il console generale Dr. Kyrimis, a cui sarò sempre grata per i suoi semplici, sarcastici ed intelligenti insegnamenti.
Il mio ultimo semestre l’ho passato invece a Göttingen dove ho concluso i miei due anni. Quello che imparai durante il mio MA non furono solamente politica, cultura, religione, relazioni internazionali etc. dell’ Unione Europea, ma anche e soprattutto tutti quei piccoli trucchi per aumentare le proprie capacità di sopravvivenza basiche, soprattutto in un mondo di cambi repentini e significativi: come per esempio il cambiamento culturale dalla Germania alla Spagna ed il cambiamento emisferico dalla Spagna all'Australia e poi dall'Australia alla Germania. E pensare che ho fatto tutto ciò da sola in soli due anni di tempo. Mica male! :-)
Quando e come è iniziata la tua vita personale, professionale e lavorativa?
Dopo aver concluso la mia tesi sul “Cambiamento climatico e I Saami come indigeni e cittadini d’Europa" decisi di gettarmi sugli scambi giovanili e mi ritrovai in Francia, a Vaunieres. Lì, nell’Ecovillaggio, ho passato la mia estate ed organizzato un festival (che fra l'altro esiste tutt‘ora). Mentre la mattina e la sera ero impegnata nella ruotine dello scambio giovanile, i pomeriggi li passavo a candidarmi per i lavori più disparati. Eh, sì: lì mi sono resa conto per la prima volta di quanto fosse difficile aver studiato qualcosa di “vago” come scienze politiche, senza avere una benchè minima idea di cosa mi sarebbe piaciuto fare “dopo”. Devo essere sincera: ci sono stati dei momenti durante i quali pensavo vivamente che mi sarebbe piaciuto studiare qualcos'altro (medicina, ingegneria etc). Nonostante questo ho continuato a candidarmi per le posizioni più bizzarre tenendo sempre in conto il mio “sogno” di poter lavorare per l'Unione Europea. Ah, la gioventù beata... Ed ecco che, dopo l'immenso aiuto di mia mamma, che controllava le mie mail giornalmente e poi mi chiamava all’unico telefono funzionante dell’ecovillaggio facendomi un report quotidiano, ho trovato il mio primo tirocinio all'Agenzia Europea delle sostanze chimiche ad Helsinki. Lì ho lavorato come assistente alle risorse umane ed imparato moltissimo, sia sulla Finlandia che sul funzionamento delle Agenzie Europee. Dopo cinque mesi di duro inverno, ma di soddisfazioni lavorative, ho incontrato una collega di un'agenzia ateniese che mi ha proposto di spostarmi ad Atene, facendo lo stesso lavoro per l'Agenzia Europea delle Sicurezza Cibernetica. E così ho fatto: a malincuore ho lasciato la mia agenzia finlandese per abbracciare il cocente sole greco. Ad Atene mi sono trovata relativamente bene nel senso che la città mi ha dato anche del filo da torcere. Diciamo che Atene è una realtà cruda, un luogo dove l'umanità, in tutto il suo splendore e la sua disperazione, si mostra per quello che realmente è. Il caos e l'imperfezione regnano da padroni. A causa di questo, ed a causa del fatto che le agenzie europee erano (e forse sono ancora) estremamente burocratiche, ho iniziato a cercare qualcosa di esattamente opposto.
Dalla Grecia sono arrivata a una sorta di comunità autogestita in Catalogna, per poter svolgere il mio Servizio di Volontariato Europeo. Lì ho imparato a vivere a contatto con la natura, rispettandola ed usandola per i miei bisogni primari: la mia lavatrice andava a pedali, la mia doccia si scaldava col sole e le mie leccornie (si fa per dire) venivano cotte dal fuoco. Metà degli utensili e mobili della comunità erano stati riciclati e il nostro cibo veniva da un contadino lì vicino, il quale era ben contento di darci “gli scarti” delle sue verdure invece che buttarle via. Nel frattempo imparai a trasmettere questa saggezza, basata sul riciclo ed il rispetto della natura, ad altri, tramite laboratori per bambini ed adulti, che venivano gestiti da noi in quanto abitanti della comunità.
Dopo questa immersione nella natura mi parve inevitabile volare dall’altra parte del mondo e finire in Nuova Zelanda per approfondire ancora di più questa mia passione. Così che con un amico molto speciale mi sono immersa in quest'avventura vivendo in una macchina camperizzata, grazie alle mie conoscenze in fatto di costruzione e riciclo di materiali, acquisite nella comunità Catalana.
Dopo sei mesi in Nuova Zelanda sono rientrata a Trento, a casa per iniziare il servizio civile a Rovereto con ATAS Onlus. Grazie ad ATAS ho appreso nuovi concetti come lavoro di comunità, Photovoice, etc. ed ho iniziato ad aiutare famiglie e singoli provenienti da altri paesi del mondo. Grazie a questa esperienza, finalmente ho imparato che nella mia vita preferivo sorbirmi una noiosissima chiacchierata di tre ore con qualcuno esasperato dalla propria vita e dal razzismo dilagante (eh già, succede anche questo oggigiorno) invece che stare due ore davanti ad un PC. Chiaramente mi sono resa conto che il computer era diventato uno strumento imprescindibile in tutti gli ambiti della vita. Nel frattempo, riflettevo, su che tipo di lavoro mi avrebbe permesso di stare più ore a contatto con le persone.
Poi arrivò il COVID.
Dove vivi e cosa fai oggi?
Oggi vivo e lavoro in Germania. Forse, ma in realtà chi può dirlo, se non fosse stato per il COVID non sarei qui. Il Covid mi ha fatto capire cosa volesse dire e quanto valesse la mia libertà. Mi ha fatto riflettere su quanto faccia male perderla e quanto invece sia importante essere circondati da persone positive. Quindi, come direbbero gli spagnoli “no hay mal que por bien no venga”: più o meno “non c’è male che venga senza portare qualcosa di buono con sé".
Al momento sono assunta come assistente coordinatrice per un Master Erasmus Mundus all'Università di Göttingen (Gottinga).
Il COVID mi ha fatto passare tre mesi (Marzo-Maggio 2020) piuttosto incerti, negativi e stressanti, tanto che ho deciso di cambiare vita. A maggio 2020 il Master per il quale avevo studiato pubblicò una call per il ruolo di coordinatrice/tore. Non persi tempo a candidarmi, sono stata l'ultima ad essere intervistata e l'unica ad essere assunta (o almeno così mi dicevano i miei colleghi).
Göttingen è una città al nord della Germania, fra Kassel ed Hannover, vicino al parco naturale dell’Haarz, il quale è provvisto di una (non due o tre, una sola) montagna di 1000 metri. Il lato positivo di Göttingen è l'Università che essendo una delle migliori in Germania attira ogni anno 30.000 studenti che studiano cose bislacche e fuori posto come per esempio “Modern Indian Studies” e "Tropical Forestry”. In Germania, eh, voglio sottolinearlo.
Comunque il mio lavoro consiste nell’aiutare i più di 70 studenti che ogni anno si iscrivono al nostro Master. Li aiuto nelle varie odissee burocratiche, co-organizzo e svolgo tre corsi universitari all'anno in inglese e poi svolgo funzioni amministrative in inglese e tedesco.
Hai viaggiato molto e lavorato in svariati Paesi del mondo, quale filo conduttore hai sempre portato con te?
Credo che l'unica costante che io abbia mai avuto in questi 11 anni di viaggi sia stata me stessa. E qui datemi un momento per congratularmi con il mio “io interiore”. No, a parte gli scherzi, senza me stessa e la mia pazza determinazione non sarei andata da nessuna parte. E certo, non devo dimenticare tutte quelle piccole grandi persone che mi hanno sostenuto, aiutato ed ispirato.
Partendo dai miei genitori fino ad arrivare a quei due miei amici pazzi che hanno rispettivamente fatto:
- il (quasi) giro del mondo in autostop
- innumerevoli Stati in bici.
I soldi sono purtroppo molto importanti quando si viaggia. Per questo motivo ho sempre cercato di spostarmi avendo sempre un mezzo di sostentamento. Un'altra cosa fondamentale, ed una sorta di filo conduttore, sono le amicizie. Come si usa dire “dove c’è Gigi, c’è Parigi”, ed è vero!
Non si può mai sapere quanto importante sia l'incontro con una persona. Le persone spesso ci cambiano la vita e durante i viaggi trovo che sia fondamentale essere pacifici e gentili con tutti. La gentilezza, assieme alla verità sono due componenti rivoluzionarie. Se usate nello stesso momento possono stravolgere in meglio una situazione catastrofica. Per questo motivo, cerco sempre di essere gentile e cerco sempre di aiutare gli altri. E non potete neanche immaginare quanto la gentilezza mi ha sempre ripagato.
Sono riuscita a vivere esperienze incredibili solo perchè un giorno avevo deciso di sorridere ed aiutare qualcuno. Cosi, gesti semplici che però cambiano completamente l'esperienza del viaggio. Quando si è da soli in viaggio si è comunque sempre alla mercé della vita e delle persone e quindi bisogna imparare ad ascoltarsi, ascoltare la "propria pancia”. Il nostro corpo è in grado di inviarci segnali di pericolo e noi dobbiamo saper ascoltare. Abbiamo dimenticato come si fa. Suppongo che in passato gli umani usassero moltissimo questa loro capacità di avvertire il pericolo.
Credetemi la mia “pancia” mi ha salvato più di una volta. Gentile sì, ma scema no! Scusate il francesismo.
Come ti trovi a Göttingen, hai trovato nuove amicizie, persone con cui condividere la tua vita?
A Göttingen ho trovato il mondo! Ho avuto seri problemi all'inizio per riuscire a trovare nuovi amici, vista la cultura. Poi, tutto ad un tratto, booooom ho iniziato a fare volontariato e mi si è aperto un nuovo universo. Tutt'ora faccio parte di Erasmus Student Network Göttingen, un'associazione locale che aiuta gli studenti erasmus ad integrarsi ed allieta le loro giornate con attività che vanno dalle feste ai pic nic, ai viaggi etc. In più ho iniziato a fare volontariato con un'associazione locale che si chiama Migrations Zentrum (Centro per le migrazioni). Con loro seguo delle famiglie di rifugiati ed immigrati da tutte le parti di Europa e del mondo.
Cerco di aiutare queste persone a sviluppare una rete sociale che permetta loro di integrarsi e sentirsi bene qui a Göttingen. C’è da dire che questa città non aiuta molto. Il tempo qui è scandalosamente brutto. Non si vede il cielo azzurro per settimane intere e le persone che non sono abituate ne risentono parecchio.
E poi c'è il discorso dei tedeschi e della loro cultura piuttosto inflessibile e devota alle regole. Viaggiando ho avuto la fortuna di conoscere giovani tedeschi in erba, pieni di energia, voglia di vivere e un disprezzo (quasi) completo delle regole: mi sono sempre sentita a mio agio con loro.
Purtroppo il discorso cambia quando ci si trova immersi in una cittadina come Göttingen dove l'età media si alza e la densità di popolazione è piuttosto bassa con i suoi 125.000 abitanti.
In più devo aggiungere che io parlo bene il tedesco, ma ho una accentaccio spagnolo inconfondibile (e voi direte: spagnolo? Sì signore. Non chiedetemi perché). E cosa succede quando l'aspetto tende a dare l'impressione agli altri che tu sei tedesca, ma il tuo accento ti tradisce? Ebbene succede che le persone ti accolgono con un sorriso al tuo primo “Haaaaalo” (perché lo hai intonato proprio bene) e poi alla tua prima richiesta random cambiano repentinamente la loro espressione, si induriscono e diventano quel misto di passività, aggressività che tanto li caratterizza. Adesso cerchiamo di chiarire una cosa. Non tutti i tedeschi sono così, sia chiaro! Però devo ammettere che questo cambio di espressione mi capita spesso! È un po' come se si sentissero traditi dal mio accento. Mah, valli a capire.
Comunque ultimamente ho fatto amicizia con delle persone splendide a cui devo tantissimo. Quindi non mi posso lamentare!
Hai qualche passione o hobby in particolare che coltivi e che ci vuoi raccontare?
Le mie più grandi passioni sono il Bondone (o meglio, lo snowboard in Bondone!) ed il karate. Come potrete immaginare qui non si può realmente sciare, purtroppo. Karate, invece, sì che si può fare.
Ho iniziato a praticare il karate quando avevo 8 anni, dopo aver visto a Lido Di Dante, Provincia di Ravenna (un luogo un po “x” ad essere sincera), un'esibizione di “karate sound” (karate a ritmo di musica) nella piazza del paese. Quando ero giovane (ah, che tempi) ero davvero brava. Ricordo che sono arrivata terza ai campionati italiani cadetti (under 16). Mi allenavo tre volte alla settimana a Gardolo, Trento e Ravina ed ero diventata (e sono tuttora) cintura nera primo Dan. Con il gruppo del Karate Trento giravamo la penisola per partecipare a svariate gare e vedevamo posti dai nomi interessanti come per esempio la ridente cittadina di Valdobbiadene Crocetta. Ai miei maestri Ivano, Melo e Gatto devo moltissime cose. Devo dire che ho imparato alla grande da loro. Sono contenta di essere stata parte del Karate Trento anche perché con la “scusa” del karate ho sempre trovato un gruppo di amici. Ricordo di aver praticato karate a Forlì, a Melbourne, a Helsinki, a Bilbao, a Madrid, a Göttingen, ad Atene ecc. Ragazzi/e lo sport è fondamentale, sia per stare bene che per farsi degli amici. Ricordo con allegria i 5 mesi di karate ad Helsinki durante i quali mi allenavo senza avere nessuna idea di quello che dicesse il mio allenatore/trice. Ricordo di essermi allenata due volte alla settimana per 5 mesi e che nessuno, e dico proprio nessuno, sia mai venuto verso di me per chiedermi come mi chiamassi. Solo alla fine della mia esperienza, quando ho deciso finalmente di saldare, ricevetti un commento in inglese della mia istruttrice che mi ha spiazzato: “Oh, you are leaving: so sad” (Oh, te ne vai, che peccato). Ero basita. E se ci ripenso rimango tuttora sbalordita. Io i finlandesi non li capirò mai.
L’amore per il Trentino in cosa si manifesta? Cosa ti piace di più del tuo territorio?
Come ho detto in praticamente quasi tutte le mie risposte, quello che amo di più del Trentino sono le sue montagne. Le vedo come enormi giganti che mi abbracciano. Ricordo che, tutte le volte che dal fragrante (si fa per dire) Veneto tornavo a casa, mi mettevo a fissare con ammirazione le cime farsi sempre più alte e strette, fino a delineare il cielo con la loro immensa presenza. Sapere tutte le cime che circondano la propria città è per me una cosa normale. Ma, notate bene, questa non è una cosa da tutti: svariate volte, accogliendo amici venuti da lontano si sono congratulati con me per la mia conoscenza del territorio.
Un’altra cosa che non smetterei mai di fare è uscire di casa la mattina e salutare il Bondone e la Paganella. Difficilmente mi abituerò al fatto che ho la fortuna di avere amici (mille volte più montanari di me) in grado di elencare quasi tutte le cime che fanno da cornice alle nostre innumerevoli passeggiate: è un sogno ad occhi aperti per me. Ma a questo proposito devo ringraziare due persone in particolare. Durante la mia adolescenza infatti, l’unica cosa che sapevo delle montagne attorno a me era il loro potenziale invernale.
Poi, in serie, arrivarono il COVID (sempre lui) e, dopo la prima ondata, nuove amicizie e la voglia stratosferica di esplorare il mio quasi sconosciuto territorio. È così che ho cominciato a capire che la montagna non si vive solo d'inverno: al contrario. Ma la cosa più speciale è che l’amore per la montagna estiva alle lunghe, estenuanti ed interminabili passeggiate mi veniva donato da due persone in particolare, che nella loro "non-italianità", mi hanno insegnato ad amare la mia terra. A loro devo tanto, perché in un modo o nell'altro mi hanno insegnato a vedere il mio territorio dal loro punto di vista; un punto di vista “foresto” e spettacolare. Grazie.
Ti ritieni una viaggiatrice? Cos’è il viaggiare per te, una cosa innata oppure l’hai scoperto con il tempo?
Credo che viaggiare non sia scappare dalla realtà. Questo è il concetto che di solito va per la maggiore. Per me invece, il viaggio è scoperta, sorpresa, ignoto, lezione di vita.
Attraverso il viaggio scopro nuovi modi di vivere e mi rendo conto che il pensiero generale che vuole che la normalità sia che le persone nascano, studino, lavorino e muoiano (per farla breve) non è la strada di tutti.
Nessuno si dovrebbe sentire obbligato a seguire queste orme, anzi.
Il viaggio è per me una malattia ed allo stesso tempo una medicina.
Al mio corpo non piace viaggiare. A volte mi costringe a stare sdraiata su un letto dopo un lungo viaggio.
Ma per la mia mente viaggiare è la cosa più bella del mondo. Viaggiando si impara. Durante i miei 11 anni di viaggi ho imparato a rispettare culture ed opinioni diverse. Ho imparato che il centro del mondo non è composto né dalla sola Europa, né dalla sola Italia. Ho capito che più ci si mescola meglio è. Ho appreso che le notizie su una certa area del mondo sono spesso fuorvianti ed ho imparato che ci sono molte più persone buone che cattive.
Ho ricevuto gesti di rispetto, aiuto ed amore da persone incredibili in tutto il mondo. Ho capito quanto valgano la mia terra e la mia gente (nonostante i contro) ed ho accettato me stessa e le mie radici.
Certo, ho anche rischiato la pellaccia un paio di volte; ma questo potrebbe succedere ovunque: non serve viaggiare per rischiare la vita!
Ho dormito sotto le stelle, sotto ponti ed in alberghi a 4 stelle con piscine immense. Ho mangiato McDonald's con dei beduini, ho fatto surf con degli australiani, ho scalato il vulcano più alto d'Europa e mi sono commossa sempre: tutte le volte che ho lasciato un luogo, un pezzo di cuore è rimasto lì. Per non parlare delle persone che conosco e che sono sparse per il mondo! Non ci si abitua mai agli addii: è sempre uno strazio.
Non chiudere occhio tutta la notte per evitare di perdere anche un solo secondo con una certa persona? Fatto.
Scrivere lettere strappalacrime prima di andarsene definitivamente? Fatto. Correre dietro ad un bus o ad un treno salutando la persona a bordo come un’ossessa? Fatto.
Dare abbracci millenari durante ore ed ore a qualcuno per far sì che l’odore della persona rimanga nei propri ricordi? Fatto.
E come è iniziato tutto questo? Sinceramente non saprei dirlo.
Sicuramente il mio ambiente famigliare ha aiutato molto: avere delle persone che sono aperte ed, a loro volta, viaggiatori/trici aiuta. Avere amici che narrano epiche avventure ed ispirarsi a loro, anche aiuta.
Quindi il mio consiglio è: lasciatevi incantare dalle storie, armatevi di coraggio e santa pazienza e ascoltate la vostra “pancia”: partite, viaggiate, emozionatevi!
Come e dove hai vissuto e stai vivendo la pandemia, cosa sta portando secondo te di buono e cosa di negativo nella nostre società?
La pandemia è stata una tragedia, ma ha anche aperto un vaso di Pandora enorme. All'inizio non capivo come fosse possibile perdere la libertà, essere chiusi in casa, non poter stare sotto il sole, non poter sentire l'aria sulla pelle, non poter vedere gli amici, non poter arrivare in Piazza Duomo.
Quello sì che è stato un periodo buio.
Nonostante questo, sono riuscita a trovare in quelle poche persone che mi circondavano un'ancora. Quando, a poco a poco, il Trentino cominciò ad aprirsi ho iniziato a pensare di andarmene, non prima di aver camminato da casa mia fino a Piazza Duomo, solo per il gusto di poterlo finalmente fare!
In ogni caso, quello che in quel frangente ho visto per strada mi ha spaventata: non riuscivo a sopportare la paura che si percepiva e si leggeva negli occhi della gente. Mi sentivo sola ed incompresa e l'unico essere che mi capiva e che mi aiutava ad uscire letteralmente di casa era il mio cane, Maxi. Intanto, mi arrivavano notizie di posti come la Germania nei quali la pandemia non aveva avuto tali nefaste conseguenze. Così verso fine aprile, inizio maggio 2020 ho cominciato a guardarmi in giro e ho trovato l’offerta di lavoro qui all'Università di Göttingen, così decisi di andarmene.
Adesso come adesso sono quasi certa che questa pandemia abbia anche portato qualcosa di buono (non voglio suonare come la celeberrima frase di uno dei nostri “capi di stato”). Quello che intendo è che, per esempio, durante la seconda o terza ondata (ho perso il conto) la mia Università ha deciso di spostare tutto (corsi, ore di ufficio ecc) online. Grazie a questo, ho avuto (ed ho tuttora) la possibilità di stare dall’altra parte d'Europa e di lavorare per la Germania. Trovato per la prima volta il coraggio di andarmene, la spiaggia, il sole e le nuove avventure mi facevano sentire più rilassata e facevo anche meglio il mio lavoro. I miei capi sono sempre stati molto aperti e a loro devo moltissimo. Dopo quasi due anni di pandemia posso dire che nel futuro mi auguro che molte più aziende e compagnie possano accogliere ed accettare il lavoro da remoto, il quale gratifica il/la lavoratore/trice e fa sì che il lavoro venga svolto meglio. Nelle isole Canarie, per esempio, ci sono svariate comunità di giovani “Nomadi Digitali”: persone che hanno scelto di lavorare da remoto e trovarsi dall'altra parte del mondo per stare assieme e condividere la propria vita, magari a contatto con la natura. Io ho avuto la fortuna di conoscere molti di loro e mi auguro che il mio futuro vada in questa direzione.
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Viaggiate, scoprite, non abbiate paura. È tutto difficile in generale, tanto vale essere in un luogo che ci piace, no?