Rosanna Dematté

originaria di Vigolo Vattaro si trasferisce per studio ad Innsbruck dove tutt'ora vive e lavora come curatrice di mostre per i Tiroler Landesmuseen

Data: Martedì, 17 Ottobre 2023

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Descrizione

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Chi sei e di dove sei originaria?

Vi rispondo come risponderei ad un tirolese che mi facesse la stessa domanda: vivo in Tirolo da ormai 24 anni, mi chiamo Rosanna Dematté e sono italiana. Se mi chiedono da che parte dell’Italia provengo, spiego che vengo da un paese vicino a Trento, la prima città di lingua italiana scendendo da Innsbruck verso sud. Se allora conoscono la zona racconto che il mio paese, Vigolo Vattaro, si trova su un altopiano fra Trento e la Valsugana, vicino ai laghi di Levico e Caldonazzo.

Quali studi hai fatto e quali esperienze all’estero hai fatto, dove?

Vengo da una famiglia numerosa. Mio padre gestiva una grande officina e le possibilità di viaggiare erano minime. Mi hanno sempre affascinato moltissimo le lingue e quindi ho scelto di frequentare un liceo a indirizzo linguistico. Ho potuto conoscere la Germania e la Spagna alle superiori per via di scambi scolastici tra il Liceo Leonardo da Vinci e delle scuole a Wuppertal e a Madrid. Ho visitato l’Inghilterra attraverso la letteratura. Poi dopo la maturità mi sono trasferita a Innsbruck, che mi è sembrata la meta ideale per diverse ragioni. Si pagavano tasse universitarie bassissime e il sistema universitario austriaco permetteva di iscriversi a diversi corsi di studio. Mi sono iscritta a storia dell’arte e ai dipartimenti di inglese e di spagnolo. Ho intrapreso brevi esperienze di studio in Spagna e in Germania. Alla fine ho concluso lo studio di storia dell’arte a Innsbruck, ma fino ad oggi approfitto dei numerosi esami che ho svolto in altri dipartimenti, in particolare mi accompagnano gli approfondimenti in linguistica e storia delle lingue. L’arte è una lingua fra le tante, forse la più complessa e affascinante.

Attualmente che lavoro fai e dove vivi?

Lavoro come curatrice di mostre e progetti speciali presso i Tiroler Landesmuseen , una società di cinque musei dei quali il principale è il Ferdinandeum . Svolgo un lavoro di racconto attraverso mostre, eventi, formati di dialogo, pubblicazioni. È un lavoro di cura delle relazioni fra passato e presente, fra scienza e arte, da cui sorgono contenuti per elaborare il passato e il presente. Spesso seguo artisti e artiste nel mettere a fuoco dei progetti espositivi mettendo loro a disposizione le risorse del museo. Vorrei convincere quante più persone possibile del valore del linguaggio artistico per un approccio aperto, umano in senso lato, direi etico, intersezionale, emozionale alla storia, alla società, alle scienze (etc.).

Ti sei creata una famiglia a Innsbruck, ce ne parli?

Innsbruck è una città piccola, ma molto internazionale anche grazie alla grande università. Qui ho conosciuto mio marito che come me era uno studente lavoratore che cercava la propria strada nel mondo. Lui era arrivato dal Cile seguendo a ritroso il percorso del suo nonno paterno che era emigrato dal Tirolo al sud del Cile negli anni 20 del secolo scorso. Ci siamo sposati nel 2009 e oggi abbiamo due bambini.

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Che lingua parlate in casa?

Ognuno di noi parla con i bambini la propria lingua materna, quindi io l’italiano e mio marito lo spagnolo. Mio marito ed io parliamo fra di noi lo spagnolo, mentre i bambini parlano tra di loro l’italiano, un fatto che mi rende molto felice, poiché in altre famiglie multilingui di solito i piccoli scelgono di parlare fra di loro la lingua che imparano all’asilo e a scuola, la lingua principale dell’ambiente in cui vivono, che qui sarebbe il tedesco.

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Sei felice della scelta che hai fatto, cioè di trasferirti in Austria? Come ti senti trentina all’estero?

Sono felice di vivere in Austria per la professionalità possibile nel lavoro culturale. Mi manca però molto la cultura italiana più aperta, ironica e gioiosa nei rapporti fra le persone. L’Austria per certi aspetti è un paese molto cerimonioso, mentre io tendo ad essere molto spontanea ed estroversa. Al mio essere trentina si sono ormai aggiunte almeno tre identità (austriaca, cilena, l’identità professionale), che si attivano a seconda del contesto. Mi sento trentina soprattutto nella trasmissione di ricordi ai figli, tramite racconti d’infanzia, canzoni, ricette e sapori che cerchiamo di ricreare in cucina. Anche quando ci si confronta con altri italiani all’estero si riprende il filone della propria specifica identità regionale. In altre circostanze sento la gioia di essere italiana. In altre ancora prevale la gratitudine di aver acquisito la lingua spagnola e la cultura cilena o l’orgoglio di aver imparato così bene il tedesco da poter pubblicare serenamente in questa lingua. Ci sono anche momenti, nella vita quotidiana, di incomprensione totale dei codici di comportamento o delle “leggi non scritte” nei quali mi sento ancora un’immigrata. Ho riflettuto molto su questi momenti di tristezza e isolamento. Ho accettato che siano parte di un bisogno di appartenenza necessaria all’essere umano, ma credo anche di sentire molta nostalgia di quella vicinanza fra le persone che ho conosciuto in una comunità paesana. Quindi potrei dire che a volte mi sento proprio una trentina “spaesata” che ha nostalgia di una comunità dove ci si conosce e ci si aiuta mutuamente.

Anche grazie al tuo lavoro, ma anche grazie a nuovi approcci di conoscenza interiore hai riflettuto molto sul tema dell’identità, dell'appartenenza, come possiamo coniugarla nell'attualità?

Lavorando per un museo che raccoglie la storia di una regione trattiamo molto il tema dell’identità o delle identità. In ogni regione del mondo coesistono diverse identità e identità che si intersecano, come le mie o quelle dei miei figli. I musei cercano di interrogarsi su questo osservando le proprie collezioni dal punto di vista della “migrazione” delle culture e delle idee che si riscontrano nelle opere o negli oggetti conservati. Non esiste un’unica identità tirolese come non esiste un’unica identità trentina. Forse ci aiuta il concetto di “spazio sociale”, secondo il quale prendiamo coscienza che il luogo in cui viviamo in modo cambia ai nostri occhi a seconda delle relazioni e delle comunità che frequentiamo. Questo approccio non deve portare al relativismo, ma a un modello di osservazione più complesso della realtà e della storia culturale, che consideri diverse comunità, culture, persone con diverse abilità o persone di diverse generazioni e la loro interazione. Considero che il museo debba preservare quante più storie ed identità legate a un territorio, ma soprattutto che debba presentarle in un atteggiamento di accoglienza e di ascolto, un atteggiamento fondamentale per l’attualità. Le possibilità di identificazione e appartenenza conseguono all’ascolto, come quello che porgete voi in queste interviste.

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Ogni opportunità di scambio, e soprattutto di scambio sul tema delle nostre origini, integra e arricchisce il linguaggio. Se il linguaggio crea la realtà, come credo, il nostro confronto ci ha già aperto una porta verso una nuova dimensione che non conoscevamo prima. Per questo ringrazio voi per questo prezioso dialogo!

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Ultimo aggiornamento:Giovedì, 11 Gennaio 2024