Descrizione
Marco Cestarolli, è originario di Villazzano di Trento e da alcuni mesi vive in Egitto a Il Cairo assieme alla sua compagna, a cui è stata affidata una cattedra presso la Germany University della capitale egiziana.
Marco, di professione architetto, in Egitto lavora da remoto per uno Studio di Paesaggisti Franco/Spagnolo e Keniano. In particolare si occupa di progettazione di spazi verdi, paesaggio e riforestazione che in gran parte saranno attuati nei Paesi dell’Africa occidentale.
Quando hai iniziato a viaggiare e a rimanere all’estero, qual è stato il tuo percorso di studi e lavorativo?
L’estate della maturità, durante una vendemmia ho deciso di iscrivermi alla facoltà di architettura di Venezia quasi per gioco. Ho sempre amato la creatività, l’invenzione e la progettazione e per questo Architettura sembrava un ottima scelta, ma allo stesso tempo ero molto affascinato dalla scienze naturali, l’ambiente e la sua complessità; una passione ereditata dai miei genitori, grandi montanari e amanti della vita all’aria aperta.
Da allora, attraverso il mio lavoro, ho sempre cercato di ricucire questa scelta, cercando di fare di queste due passioni un'unica professione.
La prima esperienza di residenza all'estero è stata l’anno di Erasmus a Rennes, in Bretagna. Poi, tra la triennale e la specialistica, nel 2010, ho svolto un periodo di volontariato di 6 mesi nel nord dell’Uganda. Questa è stata forse l’esperienza che ha fatto nascere in me l’interesse per il sud del mondo e per i viaggi. Con una piccola ONG ci occupavamo di riabilitare e costruire sistemi per la raccolta dell’acqua piovana e pozzi. Durante questa prima avventura sono rimasto affascinato dalle possibilità offerte da queste regioni con diversi paradigmi culturali e valori. Poter vedere direttamente l’impatto delle proprie opere e poter lavorare a stretto contatto con le comunità che ne beneficiano è stato molto gratificante ed istruttivo. Mi sono reso conto come la professione di architetto potesse avere altri significati e altri ruoli oltre a quelli comunemente intesi. La cultura informale di questi luoghi mi sembrava aprisse enormi possibilità espressive e l’opportunità di ridefinire tutto il processo di progettazione architettonica, con i suoi obiettivi e anche i suoi risultati formali.
Tornato a Venezia per finire gli studi ho fortunatamente trovato appoggio e conferma di questi pensieri all’interno del corso di laurea specialistica in Architettura per la Sostenibilità, dove mi sono laureato con una ricerca sull’abitare sull'acqua in congiunzione con l’adattamento ai cambiamenti climatici, in particolare con un caso studio sui villaggi di palafitte delle lagune del Benin.
Questa ricerca mi ha messo in connessione con lo studio Olandese/Nigeriano NLÉ che si stava occupando di architetture galleggianti in Nigeria.
È stato così che, poco dopo la laurea, mi sono ritrovato ad Amsterdam a lavorare per lo studio, dove sono rimasto per quasi 3 anni.
Questa è stata un esperienza lavorativa estremamente formativa fondamentale per la mia carriera successiva, ma sentivo di essere troppo distante dai luoghi e dai contesti per cui progettavamo. Questo è stato uno dei motivi principali che mi ha spinto a trasferirmi quindi in Uganda dove ho cominciato a lavorare per Local Works, uno studio di architettura ugandese che pone molta attenzione alla sostenibilità, all’ uso dei materiali locali e alla qualità della progettazione anche in contesti complessi.
Tra la metà del 2015 e 2018 ho alternato dei periodi di lavoro in Uganda e Nepal.
Come si realizza concretamente un progetto di architettura nei paesi dell’Africa orientale e occidentale? chi fa cosa? e cosa viene realizzato?
Anche qui si può progettare con strumenti convenzionali ma fortemente condizionati però dalla necessità di rispondere alle necessità di progetti orientati a contesti fragili, a piccole comunità e con forti complessità dettate da particolari contesti socio-economici e ambientali.
Lavorando in contesti comunitari e su progetti con una forte vocazione sociale e ambientale mi sono reso conto di come l’architettura, nel senso più fisico e tecnico del termine, fosse talvolta l’ultimo dei problemi. Da architetto mi sono trovato ad organizzare e gestire percorsi formativi, assemblee, riunioni, votazioni, raccolte dati e mappature. Tutte azioni che esulano dal ruolo per come lo avevo appreso nei primi anni dell’università ma che hanno fatto spostare la mia attenzione dal risultato architettonico verso il processo intrapreso per raggiungerlo, che in questi contesti è di vitale importanza per ottenere gli obbiettivi preposti. In qualche modo ho scoperto un’architettura che comincia già dalle parole, dagli incontri e dall'osservazione partecipata. Una pratica che non ha un risultato prefissato a priori ma che si genera attraverso i processi di partecipazione, formazione e coinvolgimento delle comunità interessate.
La fase di realizzazione poi varia enormemente in base al contesto, alle risorse ambientali, ai materiali disponibili e alle risorse umane e culturali presenti.
Quando ti trasferisci in Nepal? per chi lavori? e che effetto ha questo paese su di te?
Nel 2016, mentre abitavo e lavoravo in Uganda, sono stato contattato da un’amica Nepalese che stava avviando un progetto di conservazione ambientale nell'estremo est del Nepal. Era un progetto molto innovativo e complesso che voleva affrontare il tema della protezione dell’ambiente a partire dal coinvolgimento attivo delle comunità contadine che abitano quelle zone. Per portare avanti questa iniziativa avevano bisogno di costruire una serie di infrastrutture e mi hanno chiesto se ero disposto ad occuparmene. L’idea era realizzare alcuni centri di ricerca e apprendimento in zone rappresentative dei diversissimi ecosistemi presenti in Nepal al fine di sviluppare quella che il progetto definiva un'Università Verticale che si estendesse dallo zero m sul livello del mare del confine con l’India fino agli 8000 m al confine con la Cina.
È stata una delle esperienze più importanti della mia vita, in cui le mie visioni personali, la mia idea di architettura sono state ulteriormente messe in discussione. Mi sono trovato ad occuparmi di conservazione ambientale attraverso l’architettura e la progettazione, vivendo in minuscoli villaggi nell’area tropicale pedemontana dell'Himalaya e questo è stato un po’ il raggiungimento dell’idea di poter coniugare tutti gli ingredienti che mi erano cari: creatività, natura e montagna.
Durante l’anno in cui sono rimasto in Nepal mi è capitato di occuparmi delle mansioni più disparate che erano comunque propedeutiche alla realizzazione delle architetture: dal camminare attraverso le montagne per incontrare capi villaggio, nell'organizzare corsi di formazione per la produzione di mattoni in terra cruda, dal girare per i villaggi alla ricerca di conoscenze indigene sulle piante medicinali a tenere corsi di progettazione in 3d, nell’installare e saldare container usati a gestire la raccolta del bambù nella foresta.
Dal 2018 poi dove ti ritrovi e cosa fai?
A conclusione del progetto in Nepal e dopo alcuni anni di permanenza all’estero ho deciso di tornare in Trentino, spinto anche dall’esigenza di recuperare una sensazione di stabilità e radicamento che spesso era difficile ottenere vivendo precariamente in paesi con forti diversità culturali rispetto alle mie origini.
Rientrato in Italia ho cercato di riportare alcuni dei metodi e delle visioni apprese negli anni scorsi, nella convinzione che ogni luogo possa beneficiare di processi di progettazione partecipata e di un’idea di architettura più in sintonia con l’ambiente e gli ecosistemi circostanti.
In questo periodo ho cominciato a collaborare con la Soprintendenza per i Beni Culturali di Trento con cui abbiamo sviluppato e gestito alcuni progetti formativi in varie scuole del territorio, indagando l’architettura tradizionale di montagna e i legami che si creano tra forme dell’abitare e contesto ambientale, cercando di capire quali insegnamenti si possano trarre per affrontare i recenti cambiamenti climatici e socio-economici.
Ho anche cominciato a lavorare a distanza per lo studio di progettazione del paesaggio The Landscape Studio con cui avevo già collaborato in Uganda. Con loro ci occupiamo di varie scale di biodiversità, progettazione del verde, design di giardini e riforestazione principalmente in Est Africa ma anche in Europa.
Come si sono sviluppati i tuoi passi successivi?
Tra un viaggio all’estero e l’altro, ho conosciuto Daniela, la mia attuale compagna.
Daniela si occupa di design e di ricerca su nuovi materiali biologici emergenti ed essendosi presentata la possibilità di portare avanti queste ricerche in ambito accademico in Egitto abbiamo deciso di imbarcarci insieme per questo nuovo viaggio.
Siamo arrivati nella megalopoli del Cairo con molta curiosità ma anche un po' impreparati. Abbiamo scoperto una città che è un organismo estremamente complesso diviso in quartieri che sembrano vivere in epoche e universi paralleli, eppure il tutto in qualche modo fluisce come organizzato da delle energie misteriose.
Oggi abitiamo nel quartiere di Maadi, un'oasi relativamente tranquilla nel caos della città. Un quartiere verde, realizzato su ispirazione delle città giardino negli anni '30.
Questa città è forse uno dei contesti più difficili da definire in cui io mi sia mai trovato. Richiede un enorme dispendio di energie ma allo stesso tempo sa essere estremamente affascinante. La stratificazione della storia, dagli inizi della civiltà umana ad oggi, si mescola con una modernità turbolenta e confusa. Girando per il centro storico si possono trovare gioielli architettonici dimenticati che emergono come visioni tra la polvere, gli artigiani, i mercati, il traffico e le insegne luminose e i clacson.
Stiamo vivendo questa esperienza come un periodo estremamente formativo e in qualche modo terapeutico che passa attraverso il confrontarsi con la condizione estrema di una delle megalopoli più grandi al mondo e con una cultura talvolta basata su valori in netta opposizione con le nostre convinzioni.
È difficile dire quanto resteremo qui o come si evolverà questa vicenda: le differenze linguistiche e culturali, la difficoltà della condizione urbana ma anche la fascinazione per la storia millenaria di questo paese e per la potenza dei suoi elementi naturali come il deserto e il Nilo, producono un marasma di emozioni e sensazioni che evolvono di giorno in giorno e che rendono difficile fare predizioni.
Sicuramente è un luogo a cui in ogni caso resteremo legati e che sta avendo un grande impatto anche sulle nostre personalità. In questi mesi abbiamo stabilito una serie di contatti e relazioni importanti che speriamo ci possano permettere di mantenere un rapporto con questo paese.
Grazie al mio lavoro da remoto io posso lavorare da casa, fatto estremamente comodo ma che ogni tanto risulta un po' alienante, spendendo molte ore al computer sentendo fuori questo universo che si agita e di cui ogni tanto è difficile far parte.
Daniela invece va in università ogni giorno, attraversando la città, dove con gli studenti sfida barriere di lingua e cultura per portare avanti corsi, workshop e ricerca su design e sostenibilità.
Nei fine settimana e nel tempo libero cerchiamo di viaggiare, sia per soddisfare le nostre curiosità ma anche per sopravvivere al purgatorio del Cairo, da cui bisogna ogni tanto rifiatare.
La nostra esperienza dell’Egitto sta venendo sicuramente influenzata anche dalla situazione geopolitica ed economica attuale: la forte inflazione e le tensioni ai confini sono elementi palpabili nella vita quotidiana e che aggiungono incertezza al futuro.
Nel frattempo stiamo anche portando avanti un progetto personale parallelo e di lungo periodo: restaurare un vecchio mulino in Trentino per farne un centro di ricerca e sperimentazione. Un luogo in cui far confluire i saperi e le pratiche appresi in questi anni, mettendoli a disposizione di nuove sperimentazioni, cercando modi di abitare più sostenibili e in armonia con le comunità e gli ecosistemi.
Ti piacerebbe lasciare un messaggio ai lettori e alla Community di MondoTrentino?
Vorrei fare un saluto a tutti i trentini che sono partiti, a quelli che sono tornati e a quelli che sono rimasti. Nella mia esperienza ho capito che il mondo ha bisogno in eguale maniera di persone che restano a costruire comunità, persone che si spostano e le contaminano e persone che tornano ad impollinare.