Descrizione
Chi sei e di dove sei originario?
Mi chiamo Steven Tait, sono nato a Trento nel 1986 e sono originario di Mezzolombardo, il paese dove è nato e cresciuto mio padre. Si trova in una posizione strategica, tra la valle dell’Adige e l’imbocco della val di Non, da dove proviene invece la mia mamma, originaria di Romallo. Ho due fratelli maggiori, entrambi con famiglia, che vivono ancora stabilmente a Mezzolombardo. È un paese fortemente legato alla tradizione vitivinicola, ricco di servizi e ben collegato al resto del Trentino. Amo praticare sport e, oltre alle attività che offre la Piana Rotaliana, la posizione di Mezzolombardo è ideale per raggiungere in poco tempo alcuni dei luoghi più belli della regione, tra montagne, laghi e sentieri.
Qual è il tuo percorso formativo, quando inizi l’Università e dove?
Ho frequentato l’Istituto Martino Martini di Mezzolombardo, indirizzo ragioneria con specializzazione in programmazione, diplomandomi nel 2005 con uno dei migliori risultati dell’istituto. Ricordo con gratitudine l’impegno e la passione dei docenti che mi hanno accompagnato, così come le opportunità che la scuola offriva già a inizio anni 2000, come due esperienze formative a Dublino per il potenziamento della lingua inglese e il conseguimento di certificazioni linguistiche.
Nonostante il buon esito degli studi, dopo il diploma ho scelto di cercare subito l’indipendenza economica, iniziando a lavorare presso una società lattiero-casearia della zona, dove già avevo svolto due stagioni estive. Mi occupavo della gestione di un magazzino automatizzato: allocazione delle unità di produzione, documenti di trasporto, giacenze e rimanenze. L’aspetto che più mi appassionava era però quello legato all’ottimizzazione dei processi e alla programmazione: ho sviluppato piccoli strumenti per l’estrazione e l’elaborazione dei dati, creando report automatici per facilitare la gestione quotidiana.
Successivamente ho sentito il desiderio di mettermi di nuovo in gioco e ho deciso di intraprendere un percorso universitario, spinto dalla voglia di crescere professionalmente ma anche di arricchirmi dal punto di vista culturale. Mi sono iscritto al corso di laurea in Informatica presso la facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali dell’Università di Trento. Per i primi due anni ho proseguito con il lavoro a tempo pieno su turni, riuscendo comunque a portare avanti gli esami grazie a qualche sacrificio, una buona pianificazione, al supporto dei compagni di corso e alla disponibilità dei docenti durante le ore di ricevimento.
Hai partecipato al progetto Erasmus?
Nel 2010, una crisi colpì il settore in cui lavoravo, portando a riduzioni del personale tramite diversi strumenti di ammortizzazione sociale. Essendo il più giovane del mio ufficio e senza figli, fui tra i primi a uscire. Questa svolta inaspettata mi diede però la possibilità di fare domanda per il progetto Erasmus, opportunità che fino a quel momento avevo accantonato per via del lavoro.
Grazie ai risultati ottenuti fino ad allora, riuscii a entrare in graduatoria con una buona posizione e ottenni un posto presso la DTU (Technical University of Denmark) a Copenaghen. Vi trascorsi sei mesi, nel primo semestre del terzo anno del mio percorso di laurea triennale.
L’Erasmus è stata un’esperienza davvero significativa: mi ha permesso di conoscere nuove culture, uscire dalla mia comfort zone, sviluppare ancora di più il senso di indipendenza e la capacità di cavarmela da solo in un contesto completamente diverso. Un aspetto che mi colpì molto fu l’approccio delle università danesi alle tesi: spesso i progetti degli studenti erano co-finanziati o co-progettati da aziende, e alla discussione partecipavano anche rappresentanti del mondo del lavoro, non solo per dovere istituzionale ma per reale interesse. Un approccio molto diverso da quello a cui ero abituato in Italia.
In quel periodo conobbi tante persone, con alcune delle quali mantengo ancora oggi un contatto, anche solo sporadico. Alcuni li ho anche rivisti in occasione di viaggi di lavoro negli anni successivi.
Dopo cosa accade?
Al mio rientro da Erasmus, approfittando anche del calendario accademico danese che prevedeva la chiusura anticipata del semestre rispetto a quello italiano, riuscii a dedicarmi subito alla preparazione della tesi. Il lavoro era basato su implementazioni reali sviluppate durante la mia precedente esperienza lavorativa. Mi laureai nel marzo 2012, completando il percorso triennale in meno di tre anni.
A quel punto mi trovai davanti a una scelta: entrare subito nel mondo del lavoro o proseguire gli studi con un percorso di specializzazione biennale. In quell’anno l’Università di Trento, in collaborazione con altri prestigiosi atenei europei, lanciava un nuovo programma con l’EIT (European Institute of Innovation and Technology), che proponeva corsi di doppia laurea focalizzati su ambiti specifici dell’informatica. I requisiti di accesso erano piuttosto selettivi, ma grazie alla mia carriera accademica accelerata e all’esperienza internazionale pregressa, riuscii a ottenere un ottimo piazzamento in graduatoria.
Scelsi il percorso in Service Design and Engineering, che prevedeva il primo anno alla Aalto University in Finlandia – nel campus tecnologico legato storicamente a Nokia – e il secondo anno nuovamente a Trento. Il programma era fortemente orientato all’integrazione tra mondo accademico e industriale, con numerose attività in collaborazione con aziende partner e workshop internazionali.
Durante quei due anni ebbi modo di partecipare a brevi esperienze formative in altri nodi europei del network EIT, trascorrendo settimane di lavoro e studio ad Eindhoven (nel centro studi di Philips), ma anche a Stoccolma, Berlino, Tallinn e Parigi. Un’opportunità straordinaria per entrare in contatto con studenti e professionisti di tutta Europa.
Nel secondo anno svolsi un tirocinio di sei mesi nel laboratorio Big Data di TIM a Trento, uno dei partner industriali dell’iniziativa EIT. Conclusi il percorso nel luglio 2014, conseguendo la doppia laurea – la prima assegnata nell’ambito del programma EIT – ricevendo sia il titolo dell’Università di Trento che quello della Aalto University. Conservo ancora con orgoglio la pergamena in finnico (oltre che in inglese), ricordo concreto di un percorso che ha avuto un grande impatto sul mio futuro.
Quando e dove incomincia la tua carriera lavorativa?
La mia carriera lavorativa, post Master, è iniziata concretamente all’inizio del 2014, durante l’ultimo semestre del percorso di laurea magistrale. Presso il laboratorio Big Data di TIM (SKIL Lab) a Trento dove iniziai uno stage, che si è poi trasformato in un vero e proprio progetto di collaborazione nei mesi successivi alla laurea. In seguito si aprì una posizione all’interno dello stesso laboratorio, e dopo aver superato una selezione tenuta presso il centro innovazione di TIM a Torino, entrai ufficialmente a far parte del team.
Fu un’esperienza estremamente formativa: all’epoca si iniziava appena a parlare seriamente di Big Data, Hadoop e delle nuove possibilità offerte dal cloud computing. TIM, come tutti gli operatori telefonici, gestisce una quantità colossale di dati – non solo legati alla fatturazione, ma anche all’infrastruttura necessaria a garantire la connessione ai propri clienti. Ogni telefonata, SMS o sessione di navigazione genera un call detail record (CDR), che contiene informazioni come la cella telefonica connessa (e quindi una posizione approssimativa), la tipologia di dispositivo utilizzato, durata e caratteristiche del traffico, e molto altro – il tutto ovviamente trattato secondo rigide logiche di anonimizzazione.
Analizzare questi dati, su scala nazionale e con strumenti distribuiti, permette di trarre insight molto potenti: dai flussi di mobilità tra città come Milano e Roma, alla presenza di persone in un’area durante un grande evento, dalla diffusione dei dispositivi (iPhone, Samsung…) al ciclo di vita medio degli smartphone, o ancora l’impatto dei turisti stranieri sul territorio.
Grazie a questo contesto ho potuto applicare in un ambiente concreto e di alto livello le più recenti tecnologie per l’acquisizione, l’organizzazione e l’analisi di grandi volumi di dati. Ma soprattutto ho avuto la fortuna di lavorare a fianco di professionisti altamente competenti, sia sul piano tecnico che su quello manageriale, che hanno contribuito in modo decisivo alla mia crescita professionale.
Nel 2016, inizi un nuovo lavoro, in cosa consiste e che sviluppi avrà?
Nel 2016, dopo un paio d’anni in TIM, ho ricevuto un’interessante proposta da una delle Big Four della consulenza, EY. L’azienda, forte della sua esperienza nell’audit e nella revisione di bilancio, stava avviando una nuova linea di business dedicata ai temi del Data & Analytics, con l’obiettivo di supportare i clienti nella valorizzazione dei propri dati. L’idea era costruire da zero un team di professionisti specializzati in questo ambito, e il progetto mi ha subito affascinato in quanto avrei avuto un ruolo chiave nella foundation architetturale dell’ecosistema di gestione dati e analisi.
Accettai l’offerta consapevole che si trattasse di un’opportunità unica per confrontarmi con grandi realtà in settori molto diversi tra loro: banche, assicurazioni, industria, media, gaming, e molti altri. Concordai che dopo un primo anno a Milano successivamente sarei rientrato in Trentino, mantenendo comunque la disponibilità a recarmi presso i clienti e lavorando in smart il tempo rimanente. Spesso quest'ultimo si riduceva a un solo giorno a settimana.
I vari clienti erano principalmente basati su Milano, ma con un'intensa componente itinerante: ogni settimana era diversa, e poteva significare iniziare la giornata a Milano, proseguire in serata verso Roma per un altro progetto, e magari concludere la settimana in una terza città come Torino, Trieste o Brescia. All’epoca –pre-COVID – il vero smart working era ancora limitato, e la presenza presso il cliente era la norma.
L’ambiente della consulenza è estremamente dinamico e stimolante, ma al tempo stesso molto impegnativo. Richiede un equilibrio costante tra competenze tecniche, capacità di gestione del cliente e del team, e visione strategica. È un contesto che offre forti opportunità di crescita personale e professionale, ma richiede anche grande flessibilità e spirito di adattamento e sacrifici.
Di cosa ti accorgi ad un certo punto della tua vita? cambia qualcosa?
Dopo quattro anni intensi nel mondo della consulenza, nonostante l’importante crescita professionale e le numerose esperienze maturate, ha iniziato a farsi strada una domanda più profonda: "Cosa voglio davvero fare da grande?".
I ritmi lavorativi erano diventati totalizzanti. Le giornate iniziavano all’alba, spesso in una stazione ferroviaria o in una stanza d’hotel, dove cercavo di ritagliarmi un momento per correre sul tapis roulant o, nei casi più fortunati, per fare jogging sul lungomare di Trieste o lungo la ciclabile ricavata da una vecchia linea ferroviaria al confine con la Slovenia.
Ricordo troppe serate trascorse su un treno, tornando da Roma con l’ultimo collegamento verso casa, a cenare nel vagone ristorante mentre finivo report, elenchi di attività o piani operativi da condividere con il team. Anche quando non ero in viaggio, le cene erano spesso solitarie: a prescindere dalla qualità del piatto, mancava l’atmosfera di una vera serata conviviale.
Quel tipo di vita aveva un impatto evidente anche sul piano personale e sulle relazioni. Non riuscivo a pianificare nemmeno una cena a metà settimana, perché la mia agenda cambiava di giorno in giorno. Anche sul fronte sportivo, attività che per me erano sempre state una costante, avevo dovuto rinunciare a tutto ciò che richiedesse regolarità: lo sport di squadra era fuori discussione, e la routine di allenamento diventava un miraggio. Prima della consulenza, non avevo mai usato un tapis roulant. Forse, vivendo in Trentino, ero stato “viziato” dalla possibilità di praticare sport all’aperto in ogni stagione. Ma durante la settimana, la mia realtà si riduceva spesso alla palestra di un hotel in qualche città italiana.
A molti, viaggiare, soggiornare in hotel, cenare ogni sera al ristorante, muoversi continuamente in giacca e cravatta con il trolley sempre pronto per la prossima trasferta può sembrare un lusso. E per certi versi, rispetto a molti altri lavori, lo è davvero. Ma quella è solo la punta dell’iceberg. Dietro a quell’apparente dinamismo si nascondono una lunga serie di rinunce: alle abitudini, alla stabilità, alla vita quotidiana condivisa con le persone care. Si sacrifica tempo che non torna, e una parte di sé finisce col rimanere in sospeso, in attesa di un “dopo” che spesso tarda ad arrivare.
Tutte queste considerazioni, maturate nel tempo, hanno lentamente ma inesorabilmente portato all’idea di un cambiamento. Era giunto il momento di dare una svolta.
Ora dove vivi e lavori? cosa fai nello specifico?
Sul finire del 2019 ho iniziato a valutare diverse opzioni per il mio futuro professionale. Avrei potuto accettare delle proposte da parte di clienti con cui avevo già collaborato come consulente—molte con base a Milano, alcune anche in Trentino. Tuttavia, tra le varie opportunità, ne emerse una dalla Svizzera che riusciva a coniugare due aspetti per me fondamentali: la valorizzazione del mio percorso professionale e la possibilità di stabilirmi in un contesto morfologicamente simile al Trentino, ma al tempo stesso più internazionale. Un luogo dinamico come Zurigo, hub europeo per l’innovazione e la tecnologia, offriva entrambe le cose.
Così, all’inizio del 2020—poco prima che scoppiasse la pandemia—mi sono trasferito in Svizzera per iniziare una nuova avventura in Swarovski. Vivo in un paese affacciato sulla "golden coast" del lago di Zurigo, a soli 15 minuti di treno dal centro città, dove si trovano gli uffici amministrativi dell’azienda. Il mio ufficio dista cinque minuti a piedi da casa, il lago è a due passi. Posso uscire in bici e trovarmi subito immerso in paesaggi splendidi e poco trafficati, correre tra i vigneti dopo il lavoro o partire per una gita sciistica in ambiente in meno di un’ora d’auto. È un contesto che richiama molto quello in cui sono cresciuto.
In Swarovski lavoro come Cloud Data Engineer Manager. Mi occupo della gestione dei flussi di dati: dall'acquisizione dai sistemi sorgente (come quelli di fatturazione, logistica, CRM, e-commerce, advertising) alla loro modellazione e integrazione in ambienti cloud. Questi dati, una volta strutturati, diventano fondamentali per una serie di applicazioni: campagne di marketing personalizzate, report e dashboard per il decision making, suggerimenti per l’upselling sulle piattaforme digitali e molto altro.
È un lavoro con ritmi più stabili, più “9-to-5”, in un ambiente multiculturale e in un territorio che rispecchia le mie radici e supporta i miei interessi personali.
Che vita hai oggi in Svizzera, quali sono le tue passioni e quali gli hobby?
La vita in Svizzera oggi ha trovato un suo equilibrio, anche se il trasferimento, per quanto agevolato dalla compagnia per cui lavoro, è stato inizialmente segnato dalle restrizioni legate alla pandemia. Il primo anno, in particolare, è stato molto condizionato dal COVID, con tutte le difficoltà legate all’integrazione in un contesto nuovo. Fortunatamente, Zurigo è una città con una forte presenza di expat, il che ha reso più semplice l’inserimento, anche senza l’uso quotidiano del tedesco, che non è richiesto nel mio ambito lavorativo.
Lo sport resta una costante centrale nella mia vita e uno dei miei principali canali di benessere. Dalla bici al trail running, dallo sci allo sci alpinismo: la varietà del territorio svizzero si presta perfettamente a queste passioni. Col tempo, ho costruito una rete sociale fatta di colleghi, amici, amici di amici: non è la stessa rete profonda e consolidata che si ha nel luogo in cui si è cresciuti, ma è viva, dinamica e mi ha permesso di scoprire nuove prospettive. Tra gite in montagna, eventi culturali e tante opportunità ricreative, Zurigo e la Svizzera in generale offrono molto, anche al di fuori del lavoro.
Vivo da solo, quindi la mia quotidianità comprende anche tutte le incombenze legate alla gestione domestica, che diventano parte del mio equilibrio personale. Solo pochi mesi fa ho ottenuto il permesso di soggiorno permanente, dopo cinque anni in Svizzera: un traguardo che mi ha dato un ulteriore senso di stabilità e continuità.
Rientri spesso in Trentino e come ti senti da expat anche quando torni nella tua terra natia?
Mentre scrivo queste righe, mi sto preparando a trascorrere le festività pasquali in famiglia, “a casa”, in Trentino. Ritorno sempre volentieri quando posso: Zurigo dista poco più di cinque ore di macchina, attraversando le Alpi—un tragitto che, per sfida personale, ho voluto affrontare anche in bici.
Rientrare da expat implica però una serie di compromessi. È importante trovare un equilibrio, altrimenti si rischia di “avere un piede in due scarpe”, finendo per non sentirsi davvero stabili né in Svizzera né in Italia. Questo si riflette inevitabilmente anche sul mantenimento delle relazioni, da una parte e dall’altra del confine. Questo aspetto diventa concreto in relazione ai propri genitori, che magari si avviano verso una fase della vita in cui il supporto dei figli può diventare più necessario. Una fase che ho vissuto e per quanto bene si possa provare a gestire ha un peso emotivo.
Quando torno in Trentino, mi piacerebbe sempre trovare il tempo per vedere tutti: fare una cena, bere un bicchiere di vino con gli amici di sempre, passare a trovare nipoti e parenti. Non sempre si riesce a incastrare tutto, ma si cerca di fare il possibile. Vivere all’estero offre molte opportunità, ma porta anche con sé il costo emotivo di non essere presenti per momenti che una volta si davano per scontati: un compleanno, un battesimo, una chiacchierata importante con un amico al bar del paese.
Ogni rientro diventa così un’occasione da vivere intensamente, consapevole della fortuna di avere radici solide, ma anche un’altra vita che si è costruita altrove. Il tempo e il futuro aiuteranno forse a trovare una nuova armonia tra queste due realtà. Non escludo un giorno di tornare, o magari di spostarmi ancora. Dieci anni fa non avrei immaginato di vivere in Svizzera, e venti anni fa mai avrei pensato di laurearmi in Finlandia. La vita, dopotutto, è bella anche perché sorprende.
Vorresti lasciare un messaggio a i tuoi lettori e alla Community di MondoTrentino?
Vorrei innanzitutto ringraziare di cuore la community di MondoTrentino e chi ogni giorno contribuisce a tenerla viva, sia dal lato dell’Associazione Trentini nel Mondo che da quello della Provincia autonoma di Trento. Grazie a questa iniziativa ho avuto modo di conoscere altri expat, sia qui in Svizzera che in altri Paesi, con cui ho potuto condividere esperienze, confronti e momenti di scambio umano che fanno davvero la differenza quando si vive lontani da casa.
A Zurigo siamo anche riusciti a organizzare qualche cena tra trentini: bastano un paio di parole in dialetto, e per un attimo sembra quasi di essere tornati a casa, anche se a chilometri di distanza.
Credo sia importante continuare a valorizzare l’esperienza dei trentini all’estero. Il Trentino, storicamente terra di emigrazione, oggi sta vivendo una nuova stagione di partenze, diverse da quelle del passato, certo, ma spesso guidate da sogni e difficoltà che non sono poi così lontani da quelli vissuti da chi ci ha preceduti. Una nuova emigrazione fatta di studio, lavoro, opportunità e, talvolta, anche di necessità.
Chi ha vissuto in contesti economici, sociali e amministrativi diversi può portare una testimonianza preziosa: aiutare a riconoscere ciò che funziona bene altrove, ma anche ciò che, a casa nostra, è giusto preservare o valorizzare di più. Il Trentino ha molto da offrire, non tutto, forse, ma molto, e chi parte dovrebbe avere una visione lucida e concreta di cosa aspettarsi. Nel bene, e anche nel meno bene.
La community ha un ruolo fondamentale in tutto questo. E lo sta già svolgendo egregiamente.
Un saluto a tutti, ovunque vi troviate. E un brindisi ideale, magari con un Teroldego, alla nostra terra… e a tutti i luoghi che chiamiamo “casa”.